RAZIONALE
A metà dell’800, Semmelweiss dimostrò efficacemente che l’ospedale poteva rappresentare un rischio per i pazienti (le donne che partorivano per strada avevano un rischio di sepsi puerperale e una mortalità molto più bassa rispetto a quelle che partorivano in ospedale), che tale rischio era di origine infettiva (i patogeni venivano trasmessi dagli studenti di medicina che, prima di assistere le donne partorienti, effettuavano i riscontri autoptici), che tale evento era prevenibile (con il lavaggio delle mani). Dopo di lui, numerosi altri Autori, hanno documentato come il ricovero in ospedale potesse comportare un rischio elevato per il paziente di contrarre una patologia infettiva.
L’insorgenza di una complicanza infettiva in un paziente ricoverato in ospedale comporta costi sia in termini di salute che economici per il paziente e per l’ospedale: per il paziente, comporta il dover sopportare una patologia infettiva aggiunta alla sua patologia di base, le eventuali conseguenze di questa in termini di disabilità temporanea o permanente o addirittura il decesso, le eventuali spese di una cura domiciliare o la perdita di giornate di lavoro; per l’ospedale, comporta i costi dell’eventuale prolungamento della degenza, degli esami diagnostici e degli interventi terapeutici aggiuntivi. Le infezioni ospedaliere sono, almeno in parte, prevenibili. L’adozione di pratiche assistenziali “sicure”, che sono state dimostrate essere in grado di prevenire o controllare la trasmissione di infezioni, comporta la riduzione del 35% almeno della frequenza di queste complicanze. Per questo motivo, la infezioni ospedaliere rappresentano un indicatore della qualità dell’assistenza prestata in ospedale.
DEFINIZIONE DI “INFEZIONE OSPEDALIERA” Si definiscono infezioni ospedaliere “le infezioni che insorgono durante il ricovero in ospedale, o in alcuni casi dopo che il paziente è stato dimesso, e che non erano manifeste clinicamente né in incubazione al momento dell’ammissione”. Tutte le infezioni già presenti al momento del ricovero (con un quadro clinico manifesto o in incubazione) vengono, invece, considerate acquisite in comunità (infezioni comunitarie), ad eccezione di quelle correlabili ad un precedente ricovero ospedaliero. I pazienti rappresentano la popolazione a maggior rischio di infezione ospedaliera; altre figure possono, però, contrarre, anche se meno frequentemente, una infezione in ospedale: personale ospedaliero, personale volontario di assistenza, studenti, tirocinanti.
In una significativa proporzione di casi, le infezioni ospedaliere evolvono verso la disabilità temporanea o permanente o la morte del paziente. La mortalità esclusivamente attribuibile alla insorgenza di una infezione è stata stimata negli ultimi anni per la sepsi o la polmonite, sulla base di studi controllati. Per eliminare l’influenza della patologia di base del paziente sul rischio di morte, un gruppo di pazienti con specifiche infezioni ospedaliere è stato confrontato con un gruppo di pazienti non infetti, ma comparabili ai primi per gravità e complessità delle condizioni cliniche di base. Da questi studi emerge come la mortalità attribuibile alle sepsi vari dal 14 al 38% nei diversi studi, in relazione al tipo di agente causale: la mortalità è elevata soprattutto nelle fungemie (38%) e nelle sepsi da enterococchi (31%), mentre le batteriemie da stafilococchi coagulasi-negativi si associano ad una mortalità attribuibile più bassa (14%). La mortalità attribuibile alle polmoniti è inferiore a quella segnalata per le sepsi ed è stata riportata essere pari al 7% in uno studio a livello ospedaliero ed al 15% in terapia intensiva.
Infezioni della ferita chirurgica Le infezioni della ferita chirurgica continuano a rappresentare una complicanza frequente e temibile per i pazienti che si sottopongono ad un intervento chirurgico: in ospedale, rappresentano la seconda localizzazione in ordine di frequenza tra tutte le infezioni ospedaliere. Le infezioni della ferita chirurgica comprendono: a) infezioni superficiali, che interessano solo la cute e il sottocutaneo; b) infezioni profonde, che interessano gli strati muscolari e fasciali; c) infezioni che interessano organi e cavità profonde, quali ad esempio peritonite, empiema, meningite ecc.
Il rapporto “Ti err is human”, pubblicato nel 1999 dallo statunitense Institute of Medicine, ha portato all’attenzione pubblica e politica la questione della sicurezza dei pazienti, che rappresenta a tutt’oggi una seria preoccupazione per tutti i sistemi sanitari.La definizione di sicurezza dei pazienti disponibile a livello nazionale (Glossario del Ministero della Salute) è la seguente “Dimensione della qualità dell’assistenza sanitaria, che garantisce, attraverso l’identificazione, l’analisi e la gestione dei rischi e degli incidenti possibili per i pazienti, la progettazione e l’implementazione di sistemi operativi e processi che minimizzano la probabilità di errore, i rischi potenziali e i conseguenti possibili danni ai pazienti”
Dati europei mostrano che gli “errori medici” e i conseguenti “eventi avversi” occorrono tra l’8,0% e il 10,0% dei ricoveri ospedalieri (Conklin, A. Room for improvement; Strong patient safety systems could limit health, social and economic harms from medical error. RAND Europe, 2009). Le evidenze scientifiche mostrano che circa il 50,0% dei danni collaterali all’assistenza sanitaria possono essere prevenuti utilizzando approcci sistemici alla gestione del rischio clinico. Strategie di prevenzione e controllo degli eventi avversi necessitano di essere elaborate e attuate a tutti i livelli (internazionale, nazionale, regionale, e locale).
Evento rivolto a 100
MEDICO CHIRURGO (TUTTE LE DISCIPLINE
BIOLOGO
TECNICO SANITARIO DI LABORATORIO BIOMEDICO
TECNICO SANITARIO DI RADIOLOGIA MEDICA
ASSISTENTE SANITARIO
INFERMIERE PEDIATRICO
INFERMIERE
FISIOTERAPISTA
TECNICO DELLA PREVENZIONE NELL’AMBIENTE E NEI LUOGHI DI LAVORO
OSTETRICA
PSICOLOGI